Numerosissimi i reperti litici della
Grotta dei Pipistrelli,
anche se non facilmente databili. Lo scopritore, Domenico
Ridola, trovò infatti il sito già sconvolto
dalle "ricerche" di improvvisati scavatori che tentavano
il recupero di un leggendario
tesoro, attribuito al re Barbarossa.
In maggioranza, però, gli strumenti hanno la forma di raschiatoi, punte e sono stati rinvenuti accanto a resti di orso delle caverne (Ursus
spelaeus) e di iena (Crocuta crocuta spelaea): sembrano perciò
attribuibili al Paleolitico
medio, ad un aspetto evoluto e finale del Musteriano.
Raschiatoi
Percussore
Sul luogo sono stati rinvenuti anche nuclei discoidali di selce e schegge prive di ritocco con piano di percussione preparato. Ridola dà notizia di un martello di pietra dura, più perfettamente lavorato, che probabilmente doveva essere stato "immanicato", provvisto cioè di un manico, e di un ciottolo di forma irregolare con una profonda scanalatura praticata nella parte centrale: a cosa potesse servire è incerto, ma al Ridola sembrava che un manico inserito in quella scheggiatura e legato ad una fune potesse trasformare il ciottolo in una terribile arma d'offesa.
Grattatoi
e punte
Reperti
bifacciali
Ricostruzione
di Ursus
spelaeus
Blocco
di ossidiana
Al Paleolitico superiore apparterrebbero, invece, strumenti di maggiori dimensioni, quali grattatoi su scheggia e su lama, qualche bulino, punte e dorsi. Gli strumenti in ossidiana sono invece databili al Neolitico.
L'ossidiana non è una roccia
locale, ma proveniente probabilmente dalle isole Lipari in forma di blocchi da lavorare o di manufatti già lavorati.
Anche
nel Neolitico
dunque la grotta fu abitata:
le lame
e le schegge in ossidiana rappresentano
il prodotto finito
di un
processo di scambi e di elaborazione
cui non fu estraneo il territorio
materano.