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13.3 Alla radice della malattia: la natura
Denominatore comune a tutte le preparazioni domestiche era il tenerle esposte "al sereno": prima della somministrazione, cioè, bisognava lasciarle "riposare" al fresco clima della notte. Le forze del buio dovevano "approvare" il principio terapeutico e quindi garantire il successo sulle "oscure" forze del male. Il peperoncino fresco, emulsionato nella sugna o nell'olio d'oliva, strofinato poi sulla cute, curava patologie osteo-articolari: l'acido capsico, contenuto nel peperoncino, ha infatti l'effetto di incrementare il flusso ematico e ridurre l'intensità del dolore.

L'itterizia è chiamata così perché secondo l'intelligenza popolare l'uomo assume il colorito giallastro a somiglianza dello spettro solare evidenziato dall'arcobaleno, dove prevale la tonalità cromatica del giallo. Il meccanismo patogenetico si mette così in moto: l'arcobaleno cammina per il cielo e appoggia i piedi sulla terra, movendoli qua e là per la campagna. Se essi calpestano panni stesi ad asciugare, chi poi li indosserà si ammalerà di itterizia. Per guarirne il decotto di fiori di ginestra faceva "miracoli": la ginestra serviva anche per la diagnosi costituzionalistica del male.

Infatti con un ramo di ginestra il guaritore o medico popolare misurava l'altezza del corpo del malato e l'apertura delle sue braccia: se le misure coincidevano era sicuramente affetto dalla "malattia dell'arco". Fonte di sicurezza per la medicina popolare tradizionale era rivolgersi a chi aveva già sofferto o curato il male: l'esperienza diretta, il valore di atti già compiuti sono principi fondamentali della saggezza contadina.

 
 
Peperoncino

Peperoncino: rimedio contro i dolori ossei

 
                 
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Fiori di Ginestra

 

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Zanzara: veicolo di malaria

 

Chinino dello Stato

 
                 
 
Malva

La pianta di Malva

Per la malaria, che i contadini chiamavano semplicemente freve, febbre, l'unico responsabile era l'ambiente: i miasmi delle paludi e delle acque stagnanti, l'abuso di more, frutto tipico dei cespugli delle zone incolte, che crescono lungo le acque stagnanti. Il chinino, unico efficace rimedio, era visto con molto sospetto dai contadini, in questo sostenuti dai farmacisti e dai datori di lavoro: i primi si sentivano danneggiati dalla distribuzione gratuita del chinino di Stato, che aveva moltiplicato i centri distributivi, i secondi erano assolutamente indifferenti alla somministrazione del farmaco ai braccianti ed al miglioramento delle condizioni igieniche.

I contadini si affidavano alle erbe, ai bagni freddi, a clamorose ubriacature - il vino era una sorta di disinfettante - e addirittura all'ingestione di cimici: "...tutto ciò che è sporco e brutto sembra al basso popolo fornito di virtù medicatrice..." (Riccardo Maturi).

Un elemento complementare, ma che non mancava mai nelle pratiche terapeutiche, era il segno di croce, che accompagnava anche le formule di scongiuro. Esso era ripetuto sempre in numero dispari. Nel vicinato, dove la comunicazione gestuale, mimica, era fondamentale, il segno della croce, declamato o accennato con cadenzata gestualità, era l'atto individuale e corale forse più ripetuto e ricorrente. Erba usatissima per le tisane ma anche per la rimarginazione delle ferite era la malva: l'esistenza nei Sassi di un rione Malve ne testimonia la diffusione ed il largo uso.

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