3.1 Antropologia delle comunità rupestri L'habitat rupestre, caratterizzato da elementi dionisiaci - rocce, caverne, voragini - e dalla razionalità apollinea di orti, giardini e mura edificate, è lo spazio dove nasce una civiltà "doppia", doppiamente ricca e feconda.
Al troglodita abitatore della grotta può adattarsi un proverbio arabo di Ibn-Khaldoun: "L'arabo è un uomo del deserto che aspira ad un giardino: cresce nell'ascetismo e muore nella voluttà".
Ibn-Khaldoun
Icona bizantina
E' così che è vissuto l'uomo della Matera rupestre, contadino, pastore o monaco, che ha lasciato terrazzi faticosamente coltivati, mura erette davanti agli antri cavernosi, argille decorate, sculture, vetri, libri liturgici ed icone, portati sulla Murgia dal Mediterraneo bizantino. Il paesaggio rupestre è un elemento essenziale della complessa realtà dell'insediamento umano meridionale.
Se necessità economiche, insicurezza sociale, motivi d'ordine storico-culturale e religioso spinsero consistenti gruppi umani a scegliere la vita in grotta, essi non si estraniarono dal contesto delle vicende storiche, non presero le distanze dalla temperie culturale alla quale si era nutrita e si nutriva ancora la loro esperienza quotidiana.
Essi non furono ghetto rispetto ai gruppi sociali urbani, come spesso il fraintendimento del termine "eremitico" ha indotto a pensare. Insomma gli abitatori delle grotte, monaci o laici, non costituirono strati marginali della società medievale.
In questa prospettiva meglio si può allora individuare e spiegare il valore della cultura architettonica e figurativa, oltre che umana e valoriale, delle chiese rupestri, tipologie architettoniche che rinviano sul piano formale a modelli di altre aree omogenee del Mediterraneo, anche se con ibridismi e sovrapposizioni, con anomalie e modificazioni.
Santi Pietro e Paolo raffigurati insieme al papa Urbano II