5.1 Conservazione e manutenzione dei Sassi
Il dibattito sulla conservazione e manutenzione delle città storiche - a Matera - ha assunto un tono elevato allorquando nel 1992 l'Associazione Zetema affidò al Prof. Arch. Antonino Giuffrè uno studio sui Sassi che successivamente diede luogo al testo "Codice di pratica per la sicurezza e la conservazione dei Sassi di Matera" - Collana Zetema. Ed. La Bautta. Il codice mise a fuoco l'originalità dell'impianto urbano dei Rioni materani, le caratteristiche delle antiche tecniche costruttive e la particolarità del loro linguaggio.
Giuffrè scoprì che le antiche case dei Sassi in una singolare mai interrotta continuità furono costruite con gli stessi criteri che ancora oggi sono alla base dell'edilizia domiciliare: ricerca della sicurezza e della stabilità, possibilità di articolare gli spazi. Allora come oggi si desiderava una casa asciutta, dove non penetrasse il caldo d'estate ed il freddo d'inverno.
Schema 1
La natura friabile ed insieme omogenea della calcarenite è sicuramente alla base delle ragioni che resero abitabili sin dal Paleolitico le valli, poste a difesa del colle. L'archetipo abitativo fu sin da allora la grotta.
Come le acque - il torrente Gravina al fondo delle valli ed i grabiglioni lungo le conche - con la loro azione erosiva hanno scalfito in profondità il tufo, formando i primi antri, così l'uomo delle origini, ad imitazione, usò la tecnica dello scavo, che nel corso dei secoli si è perfezionata ed è maturata, arrivando ad alternare parti scavate a parti costruite (ma prima del IX sec, non si può parlare di "case palaziate", cioè costruite in gran parte).
Si è potuto ipotizzare il "modus construendi": il tufo di risulta degli scavi veniva utilizzato per ridurre l'imboccatura dell' antro, che, in un secondo tempo, prendeva luce ed aria dal portello soprastante l'ingresso.
La grotta assumeva aspetti diversi con il sorgere di nuove esigenze di alloggiamento del nucleo familiare o degli animali al servizio di questo. Si prolungava verso l'interno del masso tufaceo, si ramificava in bulbi, configurandosi come una tana. Secondo Pietro Laureano, che ne scrive nel suo "Giardini di pietra. I Sassi di Matera e la civiltà mediterranea" ed. Bollati Boringhieri, la grotta scavata ha la forma di cavità a campana, tipica della cisterna neolitica, che si è dunque ad un certo momento trasformata in abitazione: l'architettura delle acque si combinerebbe con quella abitativa. Lo stadio successivo alla grotta è quello del lamione, un vano unico sviluppato in profondità e coperto a volta, un modulo architettonico, quindi,molto più avanzato, quasi sicuramente non frutto di un'evoluzione locale. Portato da modelli estranei, si è poi tanto ben coniugato con le caratteristiche del sito e con i materiali di costruzione da rappresentare un esempio abitativo perfettamente compiuto.
Laureano sottolinea anche a proposito del lamione il rapporto con l'architettura delle acque. Il muro di tamponamento che chiude l'entrata della grotta è chiamato dai maestri muratori palomba: infatti il termine materano con cui si indica la grande cisterna è palombaro, che deriva dal latino palumbarium, invaso artificiale d'acqua modellato dal piombaio che rendeva impermeabili, stagne, le superfici.
Schema 2
Schema 3
A lungo grotte e lamioni coesistono senza che gli uni soppiantino le altre. Il passo successivo è la costruzione del piano superiore: sul modulo architettonico del lamione nascono le case palaziate, ma soprattutto i vicinati, corti antistanti gli ingressi delle case dove gli abitanti compiono i quotidiani riti di lavoro e di socializzazione.
Di tali cellule topografiche e sociali l'origine è remota quanto i primi insediamenti: essa muove, infatti, da cause fisiche, strettamente connesse alla natura delle abitazioni ed alla stratificazione dei gradoni rocciosi in una struttura, in continuo divenire, a maglie orizzontali e verticali.
L'articolazione di un embrionale sistema viario si rese necessario con il fiorire di abitazioni nelle vallette scoscese dei Sassi, sfruttando ancora una volta le curve del suolo ed i livellamenti naturali.
I cortili o recinti sui quali si aprivano le grotte ed i lamioni si formarono per naturale ampliamento delle strade, che, in forte pendenza, avrebbero altrimenti impedito un comodo ingresso nelle grotte. Le ampie corti fungevano anche da protezione contro il defluire dei corsi d'acqua piovana e dei torrenti. I vicinati a pozzo si formarono a quote inferiori rispetto al piano dei viottoli, raccogliendo le acque meteoriche e convogliandole nelle cisterne poste all'esterno ed all'interno delle grotte: è quello che Laureano chiama il gigantesco sistema di alambicchi, che progressivamente, passando l'acqua da una cisterna a campana a quella posta più sotto, attraverso canaletti e filtri, la purificano. I vicinati sono la più importante unità urbanistica dei Sassi: al loro equilibrio sociale ed alla loro autonomia corrisponde un equilibrio urbanistico nel senso spaziale. Ogni strada, ogni piazza, ogni cortile determina uno spazio plasticamente compiuto, sorprendente perché non ideato ma incidentale, frutto di una sensibilità collettiva. Il termine "convicinio" per indicare la localizzazione di una casa dei Sassi, usato in un documento del 1368 del Codex Diplomaticus Matheranensis, attesta che, seppure in forma embrionale, a metà '300 già esisteva la forma insediativa e sociologica del vicinato. Il primo elemento costruito sulla matrice elementare della casa dei Sassi, la grotta, è la parete muraria che chiude l'imboccatura dell'antro, un tempo aperto sul fianco delle gradinate di calcarenite. La parete muraria è opera di maestranze abili sia nel cavare che nell'edificare: forse è un'unica figura quella che scava e che costruisce e per questo, nel possedere cioè nozioni e strumenti differenziati, molto abile.
Schema 4
Schema 5
La parete, che chiude sul fronte la cellula abitativa addossata al pendio, sovrasta la volta ed ha un timpano scalettato: solo su questa parete si aprono una porta d'ingresso e un sopraluce, che illumina ed arieggia l'interno. Nell'evoluzione di questa matrice elementare le aperture frontali rimangono immutate: spesso al di sopra della finestra - il sopraluce - i maestri muratori praticano un foro, dall'elegante forma di fregio.
Essi lo chiamano malizia ed è segno del loro ingegno: praticato sull'architrave, la malizia serve ad alleggerire il peso della muratura in corrispondenza del punto delicato delle luci di apertura. Le pareti frontali, infatti, non hanno lo stesso spessore degli altri muri: le pareti longitudinali, che devono contenere le spinte delle volte, sono più spesse e pesanti, costituendo il confine rigido dell'abitazione. Addossata al pendìo, la casa sembra quasi prosecuzione all'esterno dell'ambiente scavato.
Quella dei Sassi è "la casa dagli alti soffitti" della tradizione omerica: la continuità della volta alta non è quasi mai interrotta ed i soppalchi lignei, alcove o ripostigli a causa del sovraffollamento, non sono una costante.
È la direttrice della volta a determinare la posizione della casa sul terreno: sul pendìo le cellule abitative sono sempre ortogonali alle curve di livello (anche per questo sembrano uscire dalla parete rocciosa).
Perciò il vano murato ha forma rettangolare e la sua profondità è determinata dalla monodirezionalità della volta a botte. Le volte sono di pietra, in genere: ma nelle cellule superiori talvolta possono essere di mattoni in foglio.
A seconda del tipo di volta - lapidea o laterizia - variano anche altri elementi.
Schema 6
Schema 7
Le grondaie, per es., sono canalette inserite nello spessore delle pareti se la volta è lapidea, mentre se è in mattoni, la grondaia, di tegole curve, è visibile sulla superficie esterna delle pareti di piedritto. L'accesso al vano interno si apre alla quota dove si affaccia il fronte: quando l'altezza della casa eguaglia il gradino roccioso a cui si intesta, di fatto realizza un piano di espansione del gradino superiore che porta alla realizzazione di una nuova cellula.
Nascono così due spazi indipendenti, i cui collegamenti sono dati dai percorsi tracciati sul pendio. Il tipo di pendio, cioè l'entità del dislivello del gradino roccioso, condiziona così l'aspetto della casa e la precisazione del tipo.
È dall'abitudine di usare il tetto della casa sottostante come spazio libero per l'edificazione che si origina l'assenza della scala interna come collegamento diretto tra i diversi livelli di costruzione.
D'altronde costruire una scala all'interno della cellula voltata, attraversando la struttura lapidea della volta, comportava non pochi problemi costruttivi. Le maestranze dei Sassi impararono quindi a sfruttare in tutti i modi possibili il pendìo come elemento di collegamento prima di accedere alla concezione più evoluta delle scale esterne in pietra, i profferli, che per lungo tempo furono usate come elementi speciali. Solo nelle case nobiliari, palazzetti costituiti da sistemi aggregati di cellule voltate, vi sono talvolta scale interne, che però non violano mai l'integrità spaziale dell'ambiente voltato. La configurazione della casa, dunque è condizionata dall'altezza del gradino roccioso e dalla larghezza del pianoro antistante: sono queste i costanti ed immutati punti di riferimento nell'evoluzione della matrice elementare della grotta.
Il materiale costantemente usato per le costruzioni abitative dei Sassi è uno solo, anche se infinitamente variato nell'insieme della città: il tufo. Blocchi di tufo nelle mani sapienti dei maestri muratori venivano "appoggiati" sulla roccia. La superficie del masso veniva spianata e lavorata per eliminare le sporgenze più evidenti e fastidiose: la naturalezza della commistione tra scavato e costruito è ancora oggi provata dalla difficoltà nel distinguere le due parti. Il muro, assemblato con straordinaria cura per far combaciare le facce dei conci, tende ad assumere un aspetto identico alla roccia lavorata. Lo scialbo di latte di calce, steso per la rifinitura di superficie, svolge la funzione finale di uniformare il tutto.