17.1 Il rito funebre
I rintocchi delle campane annunciavano la nascita: il suono delle campane annunciava anche la morte, sette rintocchi per l'uomo, cinque per la donna, che diventavano meno cupi per i bambini. In realtà le campane non annunciavano, ma davano solo la conferma della scomparsa di chi già si sapeva stava per andarsene. La realtà dei Sassi, dei vicinati, era fondata sull'interdipendenza.
Tutti partecipavano al lutto familiare con un'adesione intima, fortemente sentita, ma con manifestazioni molto contenute. Sembra non esistesse, infatti, il pianto funebre e le prefiche, pagate per versare lacrime e gemiti in segno di dolore, non erano così presenti come nelle zone più interne della Basilicata.
Un funerale negli anni '50
Il lamento funebre
Il lamento funebre si articolava in tre momenti:
la scarica di impulsi, caratterizzata dalla tensione parossistica
le stereotipie verbali e mimiche della tradizione, cioè la ripetizione rituale quasi meccanica di espressioni e gesti, fatta come in uno stato di trance medianica
la singolarizzazione del dolore, cioè l'adattamento dei moduli stereotipici al caso concreto.
I parenti ed i vicini portavano alla famiglia del morto il pranzo: 'u cuonze.
Il defunto era posto con i piedi verso la porta, che, insieme ad una finestra, erano lasciate aperte per permettere all'anima di uscire. La veglia funebre durava un giorno intero.
Nella bara si metteva un materassino di crusca, un cuscino ed oggetti cari, ma mai gioielli. La donna in lutto vestiva di nero e portava in pubblico un fazzoletto in testa: l'uomo, invece, una fascia nera al braccio o una cravatta nera. Per un mese non si radeva la barba.
Si credeva al mistero delle anime vaganti, anime, cioè, che, pur avendo avuto cristiana sepoltura, per qualche misteriosa ragione non trovavano riposo.